12 Agosto 1977

Era un 12 agosto come tanti altri e quasi stava morendo nella notte scura.
Dopo una serata magnifica, passata nel solito bar poco lontano dal mio paese, rivedevo per l’ultima volta i suoi occhi giovani e vispi di diciottenne, appoggiato al volante e con la testa penzoloni.
A quel tavolo c’eravamo solo io e lei, se avessero chiuso la porta, tagliando in quell’istante e per sempre i ponti con la mia vita passata e futura, non me ne sarei curato. Alle 20.52 di quel giorno sapevo di avere tutto e che nulla mi mancava. Per un ventenne come me non era facile capire fino a che punto osare, ero così felice che il bicchiere mi cingeva spesso il naso liberando pure e semplici effusioni di adrenalina. Fremevo sulla seggiola e un calore intimo mi avvolgeva. Sognavo di portarla lontano e quando gli sguardi si incrociavano il mio cuore batteva come impazzito.
Con la sua dolcezza mi aveva chiesto di smettere. Quei gesti erano diventati ormai troppo ripetitivi: appoggia il gomito al tavolino, afferra la caraffa, sollevala e inclinala lentamente in modo da centrare il bicchiere ingordo. Non so perché lo facevo, forse per brindare alla vita e ringraziarla per quel dono improvviso.
Ricordo i suoi magnifici occhi che brillavano alla luce delle candele.
Quando fummo fuori dal locale, mi baciò come non aveva mai fatto, lo squisito tepore delle sue labbra è semplicemente indimenticabile e rimarrà per sempre impresso nel mio cuore. Ci abbracciammo come se uno di noi dovesse partire per un viaggio ignoto e ci tenemmo stretti fino alle 23.00.
L’accompagnai a casa e la baciai di nuovo, l’amavo fino alle viscere.
Era tardi, dovevo andare.
Salutai il mio Amore alle 23.04 e salutai la Morte solo otto minuti dopo.
Invertii l’auto e mi diressi verso casa, ma le campagne annebbiate dal vino me lo impedirono.