Capitolo I
L'ANTI-POETA
Il campanello suonò improvvisamente. Paolo Maltesi smise di picchiettare sui tasti del portatile.
A quel tempo abitava in una casa né squallida né elegante arredata con un grande armadio pieno di libri, uno scrittoio, un letto munito di trapunta a righe e due poltrone dalla fodera damascata. Nella camera ruggiva una vecchia stufa a legna, che datava forse ai primi anni Trenta ed era splendidamente liberty.
Paolo aveva molti passatempi e doveri. Faceva il musicista, il pittore, lo studente all'Università Cattolica del Sacro Cuore e il poeta dilettante. Non aveva molto successo in nessuna delle sue troppe attività , anche perché doveva mantenersi da solo. I suoi genitori, Filippo Maltesi e Anna Belleri, abitavano lontano, a Villacarcina, ed egli riusciva a incontrarli solo una volta al mese, per il cambio di biancheria e le ricorrenze maggiori. Del resto non è che tenesse particolarmente a tali incontri: suo padre esercitava il ruolo di pater familias secondo l'antico costume romano ed era dunque al contempo genitore e padrone. E più padrone che padre: il suo volere insindacabile e indiscutibile schiacciava come un bulldozer ogni briciola di volontà altrui, muliebre o filiale che fosse. A causa delle mille incomprensioni e differenze Paolo pensava spesso di essere stato sostituito nella culla dalle fate e provava la curiosa impressione di appartenere a una specie diversa, di essere un gatto allevato per errore nella casa di due orsi.
Filippo aveva costumi molto particolari. Anzi, a dirla tutta c'era da sospettare che avesse studiato una copia difettosa del Galateo: ruttava a tavola, faceva risucchi con la minestra, masticava con la bocca aperta, si leccava le dita sporche di sugo e si puliva le labbra nella tovaglia. E se Paolo osava protestare si offendeva atrocemente, urlando: «Come sarebbe? Adesso a casa mia non posso ruttare e spetazzare come ho voglia?», e si affrettava a ruttare e a emettere flatulenze con più entusiasmo e accanimento, per chiarire le gerarchie.
Ciò, naturalmente, era penoso per il giovane Paolo, avvezzo alle raffinatezze cittadine e aduso alla civiltà delle belle lettere; ma quanto più era penoso, tanto più l'amato papà incrudeliva. Questi toccò l'acme della perfidia fabbricando una sedia speciale, concepita come la cassa armonica di un violino. Tale strumento di tortura era destinato a triplicare la potenza sonora dei peti e veniva usato esclusivamente in occasioni speciali. Il massimo divertimento per il signor Maltesi consisteva nello scoreggiare durante i pasti, diomodoché le briciole di pane cadute sulla sedia danzassero all'unisono con le emissioni aeree del suo deretano.
C'è chi fa risalire a questo scranno sonoro la propensione di Paolo per la musica.
Tuttavia il giovanotto ora viveva lontano e per fortuna su-biva l'influsso paterno solo di rado e mal volentieri. Ormai se lo poteva permettere: era economicamente e psicologicamente indipendente. Lavorava come correttore di bozze nella Tipografia Lunari & Soci e gli era stata affidata la redazione dell'Eco dell'Oca, il foglio settimanale di pettegolezzi studenteschi. Non era un lavoro sgradevole. Anzi si confaceva alle sue ambizioni letterarie e alle sue inclinazioni mondane. E poi era fidanzato con Chiara, figlia del signor Lunari, che dell'Eco era editore. Anche se alzarsi tutte le mattine prima dell'alba gli toglieva moltissimo tempo e moltissima energia.
Ma torniamo alla mattina in cui la nostra storia ha inizio.
Poiché il padrone di casa tardava a rispondere il campanello suonò nuovamente.
«Avanti!», gridò Paolo a quel punto, con le dita a mezz'aria.
...continua...