LietoColle, 2011
Poesia femminile questa di Cinzia Marulli, non solo perché espressione di autoascolto, ma proprio canto della maternità, che rappresenta la realizzazione più piena del suo esistere, pari alla forza generatrice dell’intera natura, che si mostra pertanto come la Grande Dea Madre che contiene il tutto.
Del fervore della germinazione universale lei è parte integrante e in esso, congiuntamente, è chiamata a condurre il Tempo avanti.
Appaiono altre madri, come la sua che è da anni malata –i tuoi occhi mi hanno inseguita/ in essi solitudine/ cantava a squarciagola- e quella sfigurata di Peppino Impastato. Tornano e ritornano termini come grembo, materno, maternità, imperitura maternità, lattei seni, amnios…
L’autrice sente l’orgoglio e la nobiltà del dono ricevuto –fierezza di donna fierezza di pace/ che stringe e protegge-.
Il femminile di Cinzia ha connotati ancestrali. Si tinge del colore del sangue, scova il senso del dovere da compiere, l’abitudine ad accudire senza tentennamenti, perché il dato dell’offerta di sé è scritto nel profondo. Tra queste mura incatenate/ m’incateno alla mia coscienza/ a quel senso del dovere/ che s’avvinghia come l’edera.
La sollecitudine verso gli altri e la cura di coloro che dipendono da lei sono i lineamenti della sua anima e della sua poesia. La generosità, che è un aspetto precipuo della sua vita, passa diritto nella poesia e si evince pure dai tanti omaggi poetici offerti a chi stima o la circonda.
Si rivolge al prefatore della silloge col titolo di Maestro, qualifica che, se pure meritata, indica ancora un altro sentimento perso: quello dell’umiltà e del riconoscimento disinteressato dei meriti altrui.
Spesso la poesia delle donne dettaglia angosce esistenziali, forme di relativismo riguardanti non solo le idee eterne e filosofiche, ma persino i rapporti umani. Mi è piaciuto allora definire la limpidezza di Cinzia, la sua stoica meditazione all’orlo di tanti baratri, come poesia d’amore, inteso nel senso più alto o poesia pacificata.
Non è poesia ingenua, tuttavia. La Marulli porta le stesse stigmate che la vita scrive sulla pelle di tutti, ma nei suoi versi si respira un’aria di conciliazione.
Non ti tipo mistico, quale troviamo nei Fioretti, ma l’ottimismo del cuore, la speranza, che rivive col rinascere del giorno, a dispetto del pessimismo indotto dagli accadimenti. Difatti scopriamo altri lemmi e locuzioni ricorrenti, come quando scrive: i colori della speranza, il cuore si spalanca/ ed abbraccia la vita.
Ma sollievo principale è offerto dal figlio che riesce a medicare ogni inquietudine e ogni escoriazione.
Ed ecco/ figlio mio/ spalancarsi all’improvviso/ una finestra aperta sul tuo sorriso.
Anche la natura ha funzione consolatrice, come il mare, per esempio, nella sezione Amnios, che torna nelle sue caleidoscopiche tinte a seconda dell’ora. E anche qui mare, mareggia, marea, onda, sabbia…, servono a descrivere il percorso dei suoi occhi e del suo alleggerimento.
Insomma, è un libro inscritto degli elementi primordiali -aria acqua terra fuoco- che compongono l’antica cosmogonia e quella della Marulli: un respiro unico e universale che conduce le creature, vegetali compresi, ciascuno col proprio carico d’inchiostro che imbratta le pagine della vita.
Fortuna Della Porta
Grembo
Nel mio corpo materia
sta crescendo un fiore
I suoi petali mi saziano
L’anima mia grida
E’ così forte il mutamento
è sabbia che diventa mare
Il mio grembo esplode
al vagito della vita.
Di catene avvinta
Nel grembo mio
è nato il mio fiore
carezze di petali
sfiorano ignare
il mio pensiero
le spine incidono a fuoco
la mia pelle
Le lacrime fluiscono
dalla fonte della vita
e gli acquei pensieri s’insinuano
tra le zolle incolte
Le orme del cammino avanzano da sole
la tua strada prosegue tra i sentieri del domani
il mio traguardo è nel vederti andare
Io anche fui figlia
di catene avvinta
e
di te
ora
figlio
sono madre
Adolescenza
Parlano i silenzi della gioventù
sono parole urlate nell’animo
mutazioni chimiche
di sensazioni eteree
sono giochi beffardi e strafottenti
che ridono beati dei sentimenti
Parlano gli sguardi della gioventù
sono lacrime silenti di rabbia
cristalli di sale
tra prati in fiore
sono corse sfrenate e impertinenti
che seguono cieche gli eventi
Alta velocità
Arranca silenziosa
la vita ingannata
Destino beffardo
di tragici scherzi
Corpi sospesi nel vuoto
senza linfa
giacciono persi
su gambe di ruote
senza gesti
Acqua
Solo nei tuoi occhi
mi specchio
amore mio
per vedermi danzare
piuma al vento
riflesso dolce e sensuale
della materia persa
nell’oblio
Tu sei acqua
amore mio
nella quale leggera
io nuoto
Maestrale
Davanti al mare mi siedo
ad ascoltare il vento
nel bianco increspare
delle onde
si perde il mio pensiero
ed è un vagare solitario
e tumultuoso
tra la risacca del tempo
Sul bordo del declivio
Sul bordo del declivio
s’azzurra lo sguardo
s’imbeve di sale
si sperde nell’onda
Vacilla la mente
risacca il pensiero
Vertigine marina
Il piede mio sconfina
nel vuoto [quindi] arieggia
e in un tuffo mi rotondo d’ignoto.
Agave, del 2011 (LietoColle), è opera prima. Per la casa editrice Progetto Cultura cura la collezione di quaderni di poesia "Le gemme". È redattrice nella rivista Polimnia dove cura la rubrica "Opere prime". Organizza eventi ed incontri al fine di diffondere e condividere la poesia