2011
18
Lug
Le Montagne della Follia
Commenti ((At the Mountains
of Madness)

Introduzione di
Carlo Lucarelli
Traduzione di
Gianni Pilo
Newton Compton
Editori
Narrativa romanzo
Collana Grandi
Tascabili Economici Newton
Pagg. 160
ISBN
978-88-541-2093-8
Prezzo € 6,00
L’orrore cosmico
“L’emozione
più vecchia e più forte del genere umano è la paura, e la paura più vecchia e
più forte è la paura dell’ignoto.”
In questa frase del tutto
emblematica, che Lovecraft ebbe a scrivere in un suo saggio sull’orrore nella
letteratura, si riassume quello che è il filo comune, la base logica di questo
romanzo breve che a farlo rientrare nell’ambito del fantastico sarebbe troppo
semplicistico e finirebbe con lo svilirne il contenuto, non esattamente
classificabile in un genere, ma di più ampia, concreta e profonda portata.
Potrei dire che in Lovecraft la
paura non è il fine, ma il mezzo, il modo con cui parlare dell’uomo e della
componente più atavica del suo inconscio, l’uomo che brama di conoscere sempre
di più, ma attratto e al tempo stesso atterrito dall’ignoto. Il viaggio
avventuroso nell’Antartide finisce così con il diventare un percorso dentro il
proprio “io”, alla scoperta di verità non tutte positive, scoperchiando quella
patina di essere integro, tutto portato alla conoscenza, ma in realtà
completamente fragile, eppure eternamente combattuto fra il desiderio e
l’angoscia di sapere.
Le montagne della
follia
è scritto in prima persona, quasi che l’autore volesse esporre a sé e agli
altri il frutto della sua autoanalisi, a tratti esaltante, altri e più spesso
impietosa, in un tripudio di fantasia in cui le lontane terre del Polo Sud
custodiscono un segreto terribile, tale da mettere sull’avviso qualsiasi
spedizione voglia là avventurarsi, soprattutto nel caso decida di esplorare
questa immane catena montuosa, dalle altezze stratosferiche, a cui il
protagonista ha dato un nome, che nella sua apparente semplicità, ricorda
allucinazioni, angosce, terrori.
Là si troveranno i resti,
giganteschi, di una civiltà aliena, di altri esseri che raggiunsero la terra
milioni di anni fa e che poi, come sempre accade nell’evolversi del tempo,
finirono con lo scomparire, forse per le glaciazioni, o forse anche e
soprattutto per il sopravvento di altre entità spaventose e orrende, un
autentico pericolo per l’attuale umanità.
La descrizione di questi resti, dei
reperti archeologici, è estremamente minuziosa, come se l’autore li avesse
effettivamente davanti agli occhi, ma se questo è un espediente di sicuro
effetto sfocia però in una caratteristica non certo positiva di Lovecraft, e
cioè la leziosità, una mancanza di senso del limite, che rende sovente greve la
lettura, rischiando anche di far scemare la notevole e palpabile tensione
creata con particolare e indubbia capacità.
L’opera, inoltre, è un continuo
omaggio a Edgard Allan Poe e in particolare a Storia di Arthur Gordon Pym,
dichiarata fonte di ispirazione, con frequenti richiami come nel caso
dell’incomprensibile verso Tekeli-li! Tekeli-li!, una sorta di messaggio
non di amicizia, ma di pericolo certo e devastante.
Le scoperte che verranno fatte nel
corso di questa avventura, l’inimmaginabile e sconvolgente orrore finale che si
insinua nel lettore come un ago che penetra nel cervello attraverso il cranio,
l’atmosfera gelida e irreale della terra antartica sono il meglio di questo
romanzo e fanno dimenticare la grevità di certe descrizioni, di cui prima ho
accennato.
Ma al di là dell’aspetto fantastico
dell’opera rimane la convinzione che con l’approfondimento della conoscenza
scientifica l’umanità non potrà che pervenire all’autentico dramma riveniente
da un universo freddo, impietoso, del tutto impersonale e caotico, cioè finirà
per approdare all’orrore cosmico. E questo è un messaggio su cui si può
dissentire, come si può anche essere d’accordo, ma sul fatto che questo rischio
potenziale possa essere poi sopportato da questo essere fragile che è l’uomo
non dovrebbero esserci dubbi, perché sarebbe la fine di una specie, quale la
nostra, sconvolta da quella follia propria delle montagne del titolo.
Da leggere, anche e soprattutto alla
luce di questo lacerante monito.
Howard
P. Lovecraft nacque il 20 agosto del 1890 a Providence nel Rhode Island. Vissuto in un ambiente familiare ben poco felice, dopo
un’infanzia trascorsa in totale solitudine, fin da giovane dovette lottare con
una serie di difficoltà economiche e si guadagnò da vivere con il mestiere
ingrato e mal pagato di revisore dei testi narrativi di aspiranti scrittori.
Grazie ai suoi romanzi e racconti, ispirati a una concezione del Cosmo
particolare e singolarissima, è l’unico scrittore americano a poter
rivaleggiare con Edgar Allan Poe. Divenuto, ancora vivente, una vera e propria
“leggenda”, morì nella sua Providence, alla quale era legato in maniera
viscerale, il 5 marzo del 1937. Moriva l’uomo, nasceva il mito.