Italo Balbo,
l’esercito dei ventimila e la colonizzazione demografica della Libia
Un nuovo libro di
Daniele Lembo edito dalle Edizioni Bibliografiche Napoleone di Roma
Nel gennaio 1970, alla presidenza
della Repubblica Araba di Libia, viene eletto il colonnello Muammar Gheddafi.
In realtà, il colonnello ha preso il potere l’anno prima togliendolo con la
forza al legittimo re Idris I. Molte cose in Libia saranno destinate a
cambiare, soprattutto per gli italiani. Il colonnello, avvierà un programma
incentrato su un rigido nazionalismo, con l’intenzione di fare della Libia un
elemento catalizzatore del mondo arabo e di assumerne la guida. Nel tentativo
di realizzare questo programma, saranno chiuse le basi militari inglesi e
statunitensi nel paese, saranno nazionalizzate le attività estrattive
petrolifere e le maggiori industrie.
Passeranno pochi mesi e, il 21
luglio, saranno confiscati tutti i beni di proprietà italiana in Libia. Sarà un
vero e proprio saccheggio che, da solo, frutterà al Governo libico qualcosa
come 4.000 ettari di terreni con 714.000 olivi, 245.000 piante di agrumi,
184.000 piante di mandorlo, 1.000.000 di tralci di uva, 4.000 ville, 765
appartamenti, 468 edifici, 727 tra veicoli industriali e trattori agricoli, 265
officine e 50 industrie. A tutto ciò si aggiungono gli oggetti di valore
confiscati nelle case degli italiani. Il Governo di Gheddafi passerà poi
all’espulsione di circa 20.000 italiani, obbligandoli a lasciare il paese entro
il 15 di ottobre dello stesso anno.
Ma come e quando sono arrivati
quegli italiani in Libia?
Molti sanno che il regime fascista
procederà in Italia alla bonifica di migliaia di ettari. Le terre bonificate
saranno poi divise in poderi e assegnate a coloni. Come centri di servizio di
quei comprensori di poderi nasceranno delle città di fondazione.
Nella sola Piana Pontina, assieme a
5.000 poderi, sorgeranno cinque nuove città e 16 Borghi rurali. La bonifica
pontina è forse la più nota, ma va di pari passo con analoghe bonifiche che
avvengono lungo tutto lo stivale.
L’opera di bonifica terriera in
Italia, da parte del regime fascista, è cosa ampiamente nota. Ciò che è invece
ignoto ai più è che un’identica operazione sarà fatta nei territori italiani
della “Quarta Sponda”: la Libia.
Di questa grandiosa operazione,
ampiamente sottaciuta, tratta Daniele Lembo nel suo Libro “LIBIA ITALIANA -
Italo Balbo, l’esercito dei ventimila e la colonizzazione demografica della
Libia” edito quest’anno dall’Istituto Bibliografico Napoleone di Roma.
Se in Italia si bonifica
dall’eccesso d’acqua, nei territori libici si affronta il problema inverso a
quello degli acquitrini, bonificando dalla siccità, grazie alla scoperta
dell’acqua artesiana, falde acquifere dalle quali, una volta scavato, l’acqua
risale spontaneamente in superficie.
Anche in Libia i terreni bonificati
saranno divisi in poderi ma, invece, di nuove città, saranno costruiti, come
centri di servizi delle aree bonificate, dei villaggi di fondazione. Nasceranno
i villaggi: Oliveti, Bianchi, Micca, Breviglieri, Littoriano, Giordani,
Tazzoli, Marconi, Crispi, Garabulli, Garibaldi, Corradini, Castel Benito,
Filzi, Baracca, Maddalena, Sauro Oberdan, D’Annunzio, Mameli, Razza, Battisti,
Berta, Luigi di Savoia e Gioda.
Dal 1934 Governatore della Colonia
Libica è Italo Balbo, che tra il 1938 e il 1939, in due migrazioni di massa, farà arrivare dall’Italia migliaia di famiglie di coloni,
assegnatarie dei poderi.
Nell’operazione di colonizzazione
demografica italiana c’è una rivoluzionaria novità: il regime fascista non
tratta le popolazioni libiche autoctone come una razza inferiore da sfruttare
ma, riconosciuta loro la cittadinanza italiana, gli riserva lo stesso
trattamento dei nazionali. Ai libici, come agli italiani, saranno distribuiti
poderi da coltivare. Anche per loro, inoltre, saranno costruiti villaggi rurali
libici, questa volta dai nomi arabi: El Fager (Alba), Nahima (Deliziosa),
Azizia (Profumata), Nahiba (Risorta), Mansura (Vittoriosa), Chadra (Verde),
Zahra (Fiorita), Gedida (Nuova), Mahhmura (Fiorente) e El Beida (la Bianca).
Il libro Daniele Lembo narra di come
il sogno libico finirà nel 1970 quando il colonnello Gheddafi, assurto al
potere, caccerà tutti gli italiani dalla Libia. Da quel momento in poi, il
“Colonnello” non farà altro che chiedere all’Italia presunti danni di guerra.
Tutto ciò, dimenticando che gli
italiani hanno costruito in Libia edifici pubblici, ospedali, strade, ponti,
acquedotti, fognature, ferrovie, porti e, soprattutto, strade. Ne citeremo una
per tutte: litoranea “Balbia”, inaugurata nel 1937 e che corre per oltre 1800 km dal confine egiziano a quello tunisino.
I nostri connazionali, esiliati
dalla Libia, si vedranno trasformati in profughi. Ritornati in Italia si
ritroveranno, tristemente, stranieri in Patria.
Scrive Lembo nella prefazione del
suo libro: “Quegli italiani cacciati dalla Libia, tornarono nell’unico posto
nel quale si sentivano sicuri. Rientrarono a casa. Pensavano che, in Italia, la
gente del loro stesso sangue li avrebbero accolti a braccia aperte”. Pensarono
male. Appena sbarcati nei porti italiani, qualcuno di loro trovò ospitalità da
qualche parente, ma la maggior parte finì nei campi profughi. Cosa fossero i
campi, meriterebbe un trattato a parte. Fu come mettere i polli nella stia.
Stessa situazione, stessi spazi, identico ambiente domestico di un pollaio.
Oggi sono in molti a impietosirsi di
fronte alle condizioni dei campi per extracomunitari e dai campi zingari. Chissà
all’epoca quanti si chiesero come vivevano quegli italiani cacciati dalla
Libia, in quei campi sparsi per l’Italia? Quella gente aveva perso i beni, la
casa, era stata estirpata dai luoghi ove era nata, dove aveva lavorato per una
vita, era stata privata delle amicizie e degli affetti. …(…)… I grandi erano
spauriti e i piccoli leggevano negli occhi di madri e padri una sofferenza
senza fine. Derubati di tutto dai predoni del deserto, arrivarono in Italia
come animali spaventati.
L’Italia, che non aveva saputo o non
aveva voluto tutelarli in Libia, non seppe offrire loro che i pollai dei campi
profughi. Più di quelle gabbie per bestie, fu una parola, appiccicata loro
addosso, a ferirli più di tutto: profugo.
Un termine che nascondeva una specie
di zona grigia, nella quale venivano confinati questi ospiti non graditi. Al
termine profugo se ne affiancarono molti altri, come beduino e africano. La
storia degli italiani di Libia è stata, per troppi anni, volutamente
dimenticata. Gli “africani” rimpatriati erano scomodi alle nostre coscienze e
alle nostre finanze.
Lo Stato italiano avrebbe dovuto
difenderli, non permettendo che il Governo libico li privasse di ogni bene.
Sarebbe bastato fare anche un modesto atto di forza, anche solo mostrare i
muscoli. Era sufficiente che la Marina Militare italiana si presentasse in
forze davanti Tripoli. Invece, nulla fu fatto. Quella che doveva essere la
Patria, aveva lasciato i suoi figli in balia dei libici e il tutto, solo per
quieto vivere.
Gli esuli dalla Libia, poi erano
fastidiosi alle nostre finanze perché pretendevano, giustamente, che qualcuno
li rimborsasse dei beni loro sottratti.
Troppo a lungo si è scelto di
nascondere le loro storie nel pozzo più profondo della nostra coscienza
nazionale. Questo libro è dedicato a quei “santi, poeti, eroi, navigatori e
trasmigratori” che, nella prima metà del ventesimo secolo, giunsero in
Tripolitania e Cirenaica e trasformarono la sabbia e le pietre del deserto in
campi arati e rigogliosi.
Ecco, questo fecero gli italiani in
Libia: coltivarono lì dove prima c’erano solo sassi…
Daniele Lembo
LIBIA ITALIANA - Italo Balbo,
l’esercito dei ventimila e la colonizzazione demografica della Libia
Edizione Istituto Bibliografico
Napoleone – Roma
Pagg. 138 Euro 14