2010
19
Dic
Intervista Simona Lo Iacono e Massimo Maugeri
Commenti (
autori del racconto
La coda di pesce che inseguiva l’amore
edito da Sampognaro
& Pupi
Questo racconto, di genere fantastico, mi
sembra molto lontano dalle vostre produzioni, oltre al fatto da essere stato
scritto congiuntamente. Mi sembra logico, quindi, conoscere la genesi
dell’opera, dall’origine dell’idea alla sua effettiva trasposizione su carta.
Il racconto nasce da un percorso di
condivisione già vissuto. Una prima esperienza sul blog del caro amico e
scrittore Remo Bassini, che lanciò la provocazione di scrivere a quattro mani.
Poi la presentazione "combinata" dei nostri due libri: "letteratitudine,
il libro" e "Tu non dici parole" che decidemmo di
aggregare sulla scorta del potere della parola, scritta e rimandata in rete. E
poi, ancora, la comune fede per l'apertura, per il rispetto per l'altro, per la
contemplazione, umile e sempre commossa, del destino dell'umanità tutta. Queste
sono le premesse comuni, la base spirituale da cui è maturata l'idea di mettere
insieme sogni e parole. Tuttavia l'episodio che ha dato vita al racconto risale
a circa un anno fa, quando - dopo l'inaugurazione del forte di Capopassero,
posto sull'isola a largo di Portopalo - pensammo a una storia di mare e pirati,
di bellezza lancinata dal possesso, di sogni perduti. Ne ricavammo una forte
suggestione. Eravamo entrambi scossi dalla fragilità della nostra società,
sempre in punto di sfaldarsi, di smarrirsi. E decidemmo che una storia
poteva forse lasciare segno, emozione, nostalgia. Ci siamo detti che niente più
della scrittura, della sua capacità di resuscitarci e trasformarci, poteva
prestarsi a far riflettere. Non a fornire risposte...no. Ma semplicemente a
evocare il sortilegio, a innestare una malinconia sonnambula e anche
stregonesca, come di strie che accerchino un noce secolare. Il nostro
sortilegio è credere. La trama della storia in apparenza non risparmia la
coda, non la salva. Ma a salvare è ancora e soltanto aver potuto dire, aver potuto
narrare.
Ecco. La genesi del racconto è tutta qui: in un comune atto di puro amore per la più forte delle speranze. L'arte.
Ecco. La genesi del racconto è tutta qui: in un comune atto di puro amore per la più forte delle speranze. L'arte.
La storia che avete narrato ha tutte le
caratteristiche di un fatto onirico, di una vicenda in cui si amalgamano
elementi concreti e visioni metafisiche della realtà. Per certi aspetti ha il
sapore di una leggenda rivisitata per parlare agli uomini di speranze e di
desideri, di sconfitte non irreparabili, ma che lasciano aperto lo spiraglio
per un mondo diverso, non fatto solo di classi ben separate, di violenze per il
possesso, ma soprattutto di amore, inteso non tanto nel suo aspetto materiale e
più retrivo, bensì come aspirazione massima dello spirito, in un’unione più di
anime che di corpi.
C’è un richiamo forte al senso della
natura, alla comunione con essa, che, senza giungere alla visione idilliaca di
Teocrito, riesce a fondere il naturalismo con il misticismo proprio della
trascendenza. In questo breve racconto ho ravvisato elementi comuni ad un altro
grande narratore siciliano, Giuseppe Bonaviri, con quel concetto dello
spazio-tempo che domina l’esistenza, sia che ne siamo consapevoli, sia che lo
ignoriamo. E’ un mondo arcaico sempre presente che viene riportato alla luce e
dove i grandi istinti, potremmo definire bestiali, si accompagnano a ideali e
speranze. Contrariamente a soluzioni di carattere religioso mi sembra che il
vostro sia un invito agli uomini a ritrovare se stessi, a penetrare nel più
profondo dell’anima per far riemergere il vento divino originario, l’unico che
consenta un futuro in un mondo finalmente più umano.
E’ così?
Siamo d’accordo con questa tua bella
visione della nostra “coda”, caro Renzo.
Anche se ci siamo limitati a raccontare una
storia, raccogliendo alcune intuizioni e dando spazio alla voglia di scrivere
insieme, è probabile che l’invito che tu ravvisi, in un modo o nell’altro,
emerga tra le pagine della narrazione.
La nostra è una storia molto siciliana sia
come ambientazione, sia come linguaggio prescelto. Un linguaggio che – nelle
nostre intenzioni – dovrebbe servire a far immergere il lettore in un'aura a
metà strada tra quella storica e quella fabulistica, mischiando reale e
surreale. In tal senso, anche per il tipo di atmosfere che speriamo di essere
riusciti a creare, riteniamo sia possibile ravvisare analogie con il grande
Giuseppe Bonaviri.
L’invito rivolto agli uomini a ritrovare
se stessi, poi, punta sulla ricerca di quello spirito di condivisione che molto
spesso è stato trascurato, tradito, vilipeso.
Laddove non si riesce a innescare il
bisogno di puntare al bene comune, emergono piccoli e grandi egoismi,
meschinità, biechi tentativi di sopraffare l’altro. E quando questo accade è
difficile che sogni e bellezza riescano a svilupparsi o, addirittura, a
sopravvivere.
La nostra è la storia di una bellezza non
riconosciuta e trafitta, di un sogno caduto. Ma dici bene: si tratta di
sconfitte non irreparabili. Anche se la bellezza è trafitta, è sempre possibile
andare in profondità per riportarla in luce. Per riconoscerla e farla
riconoscere. Per rivendicare la sua esistenza.
È il presupposto per ricominciare a
sognare.
È questa, la speranza.
Sì, l’ambientazione e il linguaggio rendono
la vostra storia molto siciliana, ma il messaggio ha una portata certamente non
territoriale, bensì universale. Fra i vari personaggi ce n’è uno molto
particolare, ‘u zu’ Saru, che nell’atmosfera di tragedia greca ha una sua
precisa funzione, con quella sua capacità di vedere nel futuro e che introduce
all’atmosfera di ciò che accadrà. Per certi versi ciò che percepisce può
apparire enigmatico, come nel caso del pirata Dragut oppure delle camicie
rosse, ma il tutto ha una precisa funzione, un monito continuo che turba il
lettore e appunto il turbamento è lo scopo della tragedia greca. Ma se il
racconto è una metafora, altre ne sono ricomprese e quell’accenno, con i
garibaldini, all’imminente unità d’Italia, offre l’idea di un imminente
cambiamento che poi non avverrà, almeno nella sostanza. I conflitti, fra le
classi sociali, il desiderio di riscatto dei contadini a cui Garibaldi promise
la terra, già sapendo di mentire, porteranno poi ai tragici fatti di Bronte. Mi
sembra che nel racconto ci sia quel concetto gattopardesco che tutto cambia per
restare sempre uguale, una condizione immutabile che condanna l’uomo a restare
sempre nel ruolo determinatosi nei secoli, una condanna a cui può sfuggire, con
una libertà intima, solo con l’amore. E come una tragedia greca termina, se pur
con una speranza di redenzione solo per chi non persegue rivalse, ma antepone a
ricchezze e potere la forza dei sentimenti.
Turi è uno sconfitto, ma non un vinto,
perché ora sa qual è l’autentico senso della vita. Siete d’accordo?
Caro Renzo, hai letto benissimo nella
figura di zu’ Saru. In ogni aggregazione umana c’è un visionario, una voce che
anticipa gli eventi, li legge e che – forse – non ha solo facoltà
chiaroveggenti, ma artistiche, perché è l’arte la prima forma soprannaturale
nella vita dell’uomo. Ecco… zu’ Saru è un “poeta di malaventura”, ma pur sempre
un poeta, e quindi un fiutatore di destini, uno che nelle tracce scomposte
della vita sa cogliere senso, sa mettere ordine, comprendendo in quale
direzione andranno gli eventi. E’ per questo che nell’inquietudine generale che
la coda suscita, e nelle brame di possesso che si scatenano intorno ad essa,
zu’ Saru continua a profetizzare di un pericolo imminente, di quel pirata
Dragut che aveva seminato terrore nel 1500 e il cui ricordo segnava comunque le
coste con un incombente senso di precarietà. Quasi con la promessa di un
ritorno.
In questo senso, è vero. Il destino del
siciliano sembra essere sempre lo stesso, ma non perché un animale immenso e
ancestrale come la “Storia” lo incolli a un ruolo determinato, a un futuro nei
secoli ripetibile (l’immutabilità di cui parla Chevalley nel celebre discorso
de “Il gattopardo”). Ma perché è del siciliano chiudersi all’incedere del
nuovo, farsi diffidente, testardo, porsi subito in atteggiamento di difesa.
Sentirsi sempre minacciato da uno straniero.
E’ anche per questo che l’unificazione
d’Italia fu per la Sicilia una grande occasione perduta. L’inquietudine del
presagio è quindi quasi apocalittica, da tragedia, come hai sottilmente colto
tu. D’altra parte è nel nostro essere figli dell’Ellade vivere sotto la sempre
persistente minaccia della “katastrofè”, intesa – nel suo senso etimologico –
come “capovolgimento”, “rovesciamento di una realtà nel suo contrario”.
Quindi come tu – ancora una volta – sai ben
cogliere, il significato di katastrofè, non è passivo né mortale. E’ anzi un
significato eversivo, dinamico: il precipitare di una situazione verso il suo
opposto. Solo che questo opposto non è della vita, non è delle classi sociali,
non è mai della dimensione finita dell’esistenza. Perché è morale, interiore,
spirituale.
Per questo motivo Turi può forse essere uno
sconfitto, può forse assistere a una morte apparente, ma è liberato dalla
scoperta della vera bellezza, anche se la sua vittoria non avrà alcun segno
tangibile in questo mondo.
Ma c’è anche un altro personaggio di tutto
rilievo ed è la madre di Turi, donna di nobili origini che, per amore, spezza
quei legami di casta che la rinchiudono in una cella dorata pagandone le
conseguenze. Anche lei, a suo modo, è una sconfitta, ma sempre non vinta,
perché si è vinti quando non c’è nulla per cui valga la pena di continuare a
combattere; lei ha Turi, il frutto del peccato, la speranza di un riscatto che
non chiede, che non pretende, ma che è insieme la condanna di una struttura
sociale settaria e l’orgoglio di essersi a suo tempo ribellata. E di quel
parto, difficile e drammatico, c’è la rievocazione nel tentativo di rianimare
il figlio in preda alla febbre d’amore. E’ una delle pagine più belle del
libro, poche righe intense in cui si misura un’altra forma d’amore.
Nell’atmosfera caliginosa del racconto è una luce viva che si accende e che
rischiara tutto, perché Laura, pur nel cupo grigiore della sua vita, ha con
Turi qualcosa in cui credere ancora e in cui sperare. Lei no, è ormai bruciata,
ma proietta nel figlio quella voglia di vivere che il tradimento alla sua
stirpe ha soffocato. Per contro, Vanni, amante della donna e padre di Toni, ha
un ruolo da comprimario, non certo di spalla, forse perché in lui non è stato
richiesto un atto di coraggio per superare il confine di casta, atto di
coraggio compiuto invece da Laura. Credo che lei sia la vera protagonista
principale, con quella sua ribellione pagata giorno per giorno, con quella sua
forza di resistere in funzione del figlio. Concordate?
Il ruolo di Laura è fondamentale, nella
storia. E' una nobile decaduta, che viene abbandonata dalla sua famiglia - e
dalla casta - per essersi innamorata di un pescatore/brigante (condannato per
il sol fatto di aver tentato di opporsi al potere nobiliare), per aver avuto il
coraggio di seguire il suo cuore.
Laura è disconosciuta dai nobili e non
riconosciuta dai poveri. Due volte abbandonata, due volte vilipesa.
Nel momento in cui il marito finisce in
prigione, per dar da mangiare al piccolo Turi, è costretta a prostituirsi... a
concedersi ai pescatori in cambio di pesce. E quei pescatori non solo usano il
suo corpo, ma la deridono.
Quella di Laura è una bellezza oltraggiata,
spenta, ferita dalla lontananza del marito, sporcata dalla necessità di
crescere il figlio. Perché un figlio non lo metti al mondo una volta sola, ma
tutte le volte in cui bisogna sottrarlo alle infamie della vita.
Laura resiste. Nonostante tutto, resiste.
Concede il suo corpo, ma preserva la dignità di spirito. Uno spirito che non si
piega, che sa essere punto di riferimento del figlio nei momenti di difficoltà.
Sì, la figura di donna Laura è una figura "chiave" del racconto. Forse,
in fondo, rappresenta la stessa Sicilia. Una terra bella, ma oltraggiata.
Spenta. Ferita. Una terra vittima di soprusi... e che pure, in un modo o
nell'altro, resiste. Nonostante tutto, resiste.
Ciò che stupisce in questo vostro racconto
è la luce, o meglio i giochi di luce, le ombre, i chiaroscuri che
contribuiscono in modo determinante a creare un’atmosfera quasi onirica. Ci
sono scene che rimandano il lettore a certi quadri del Caravaggio, la cui
bellezza riviene dal turbamento provocato dai diversi toni dei colori, ma ce ne
sono anche altre che richiamano opere cinematografiche, come quella della
mattanza, che mi ha fatto venire in mente la battaglia sul ghiaccio
dell’Alexander Nevsky di Eisenstein. Senza togliere nulla alla vostra
creatività, ritenete di essere stati influenzati, meglio ancora ispirati, dal
talento di questi due grandi artisti?
Non c’è una influenza diretta. Ma è ovvio
che la scrittura si nutre dell’inconscio, dell’immaginario, di tutto ciò che
assorbiamo anche senza una percezione sveglia della realtà. Lo scrittore è
spesso un dormiente e, come tale, fa emergere nel sogno tutto il non detto, il
non rivelato, il non rimosso.
Luce e buio, poi, sono il campo
dell’esperienza letteraria. La scrittura non racconta mai solo il bene o solo
il male, e i personaggi non sono mai solo buoni o solo cattivi. Piuttosto,
ambivalenti come noi stessi siamo, oscillanti e dubbiosi tra i due opposti, su
quella soglia segreta e a volte incomprensibile persino a noi stessi che
chiamiamo coscienza. E’ questo il campo della scrittura: l’uomo e la difficile
scoperta della verità su se stesso, una verità sempre fuggevole, rasente
l’ombra, sempre bisognosa di essere decifrata e – quindi – raccontata, detta.
In fondo, è come se per esistere veramente e trovarci avessimo bisogno di un
intermediario, un fascinoso narratore che sa rivelarci a noi stessi, e che non
è altro che il fantasma delle nostre infinite possibilità. Noi, insomma, ma
anche tutti i noi, infiniti, genuflessi, resuscitati, malati e risanati che
siamo stati o che saremo.
Vi ringrazio per la piacevolissima
conversazione e vi saluto con l’augurio che questo vostro bel libro incontri il
successo che sicuramente si merita.
La coda di pesce che inseguiva l’amore
di Simona Lo Iacono e Massimo Maugeri
Postazione degli autori
Copertina di Alek Mudanò
Sampognaro & Pupi Editori Associati
Narrativa racconto lungo
Pagg. 64
ISBN 9788895760186
Prezzo € 12,00