La dolce ora
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Qual è la dolce ora di Grazia Maria Poddighe?
Forse è l’età felice della fanciullezza che si accinge a scagliarsi nella vita o tempo meteorologico, la stagione più piena/ Che i bozzoli fa scricchiolare, persino il semplice rientrare Dal pomeriggio avvampato/Alla stanza fresca in penombra, più tradizionalmente la sera.
Le voci del giardino, la dolce ora/ Gli occhi di luce alla notturna brezza/ In grani assorti, ancora più lucenti/ Le cose intinte d’acqua/ Non più limpido il tempo.
Potrebbe tuttavia consistere nell’istante raro e fatato che libera dalle violente sbarre della vita la voce di fringuello del poeta e per una volta quello che si vorrebbe intendere, pur in un aereo implume battito, si palesa.
Niente è così scuro ancora
Che la parola non lo possa fendere.
Tra tutte le parole possibili, quella poetica contiene il miracolo della rivelazione.
Si può fare poesia con poco
Purché sia forte.
Ma la dolce ora potrebbe appartenere con qualche verosimiglianza ai giorni della memoria, che consente di osservare finalmente in quiete il cammino già andato, i tradimenti, gli abbandoni, la malattia: in questa svolta della maturità il cuore, che sui sassi dei giorni ha imparato a non tremare, può osservare con sufficiente distacco anche lo spazio ristretto dei giorni che rimangono.
Allora saggezza, da cui guardare la nostra disfatta, che è retaggio umano, in questo andirivieni di atomi e creature, nelle pianure cosmiche, nell’affaccendato democriteo affanno.
Poesia d’inganni, in fondo, avviluppata a una nenia da antica nenia o elegia: ritmo mesto e suggestivo che coinvolge e seduce l’udito, per rivelarsi a strati nelle raffinate implicazioni filosofico-letterarie che in filigrana tramano il lavoro della Poddighe, che può essere colto probabilmente fino in fondo solo da un lettore avvertito. In apparenza lisce assonanze, allitterazioni (tutto-accetta-patti-dette; cruccio-accennato…pag. 26) rime sparse, timbro uniforme che fanno dell’opera un canto unico da leggere d’un fiato e più sotto la laboriosa ostinazione per convergere a questa naturalissima posa delle parole, che ben dissimula preziosismi o neologismi, che a tutta prima neppure si scorgono (algose, prillanti, puntigine, allunare…).
Insomma non ci si può fermare alla prima lettura, solo più avanti si intende l’impegno per intersecare significato e significante, tra lemmi che possiedono turgore ungarettiano, essenzialità e pensosità alla Giudici –questo caro sgomento mio d’esistere-
Parola di marmo che mai scantona in altro.
Così, leggendo e rileggendo, si rivela l’urgenza metafisica che non si era notata: un enigma, anzi l’enigma, che si irradia dalle lande del cosmo, che la materia finita non può attraversare, il riferimento –due volte- ai quattro elementi del secolo presocratico, acqua, aria, terra, fuoco, coi quali si cercarono per la prima volta ragioni cosmologiche all’arcano, in mezzo a cui l’universo delira, riferimenti culti a Dante -tre donne intorno al cor mi son venute-.
Allora anche poesia d’indagine al limitare delle luci e delle ombre, sulle quali è segnato il cammino dell’uomo oltre che poesia di dubbio e solitudine.
Amo le superfici irrisolte
Questi mari dell’anima
Che ci lasciano esistere.
Voce, questa di G.M. Poddighe, di meditazione ma non di pessimismo. Ormai dal disincanto dell’età riesce a comprendere le ragioni del nostro percorso accidentato, necessario tuttavia per correggere il tiro del tempo, che comincia all’altro versante della vita quando sboccia un bambino. Appunto la sezione Un bimbo –Questo è il bambino,/ Non una piccola cosa- assume tratti ammalianti, coi piedini di Leo che calcano i granelli di sabbia ad uno ad uno, per implicare tutte le metafore di destino e di futuro che una piccola creatura racchiude: un murmure del lussureggiante universo, incuneato tra spazio e tempo a rinnovare il miracolo della vita. Poesia non disperata, dove i bimbi ripetono e cambiano il mondo e danno felicità e speranza.
Sull’esitazione e sulla notte che sta per calare giunge poi una luce dall’alto, della quale l’autrice non vuole parlare, eppure il verso è lì a denunciare una ricerca spirituale, quasi sicuramente di tipo religioso, che possa racchiudere in via definitiva i sensi del mondo.
Si aprono dentro di me
Le case del Signore.
Collabora a numerose riviste sia cartacee che on line. Vive ormai stabilmente a Roma.