L'artefice degli incanti
«Quando in anticipo sul tuo stupore
verranno a crederti del nostro amore
a quella gente consumata nel farsi dar retta
un amore così lungo
tu non darglielo in fretta».
(Verranno a chiederti del nostro amore, Fabrizio De Andrè)
Dicono che non ci si scelga casualmente: che non siano sempre così insensati e, soprattutto, tanto inspiegabili, i meandri attraverso cui l’Amore ci conduce. Questo sembrerebbe esattamente il caso di Veronica e Gabriel: una giovane dissidente che si innamora di un disertore dell’esercito straniero, sullo scenario di un paese oppresso dal regime totalitario.
La guerra avvolge, protegge quasi la loro storia: una relazione minata dalle fondamenta, dalla presenza di un terzo elemento, Sergio, sufficientemente razionale da non accettare, da non tentare di comprendere la natura del legame, le ragioni che animano un sentimento contro le regole che, in vario modo, tiene in vita i protagonisti nel percorso verso la pace. Sarà infatti la pace a determinare la sorte di un amore cresciuto tra le macerie e la disperazione, lacerato, tormentato, vissuto fino all’ultima speranza.
Più volte leggendo, ho avuto la sensazione di trovarmi dinnanzi ad uno schermo: Bianca insiste efficacemente sulle immagini, l’aspetto ‘visivo’ della narrazione è fortemente accentuato; la guerra sovverte l’ordine, il senso della giustizia, il rapporto tra bene e male, così il legame tra Veronica e Gabriel rovescia l’idea stessa dell’amore.
La concretezza, la fisicità, la disperazione si mescolano e, come un mago, l’artefice degli incanti amplifica l’energia sottile che unisce i due protagonisti attraversando paesi, circostanze, mestieri, ospedali e, soprattutto, verità interiori.
«La chiamano evoluzione, selezione naturale. Ma sai cos’è? E’ sterminio, Vera.»: l’indagine non si concede mai al sentimentalismo, la ‘telecamera’ narrativa non indugia in alcun modo nella compassione; c’è un quid di neorealistico, non solo nel tema, bensì nell’attenzione a delineare analiticamente gli eventi, i passaggi, le trasformazioni dei personaggi.
Una storia d’amore e di guerra insieme: amore inteso come passione, come speranza, come lotta, guerra letta come conflitto interiore e con l’alius, come percorso di decadenza e rinascita, come iter individuale alla consapevolezza.
Romanzo dal finale inatteso, aperto alla possibilità di divenire sceneggiatura, femminile ma non femminista, affine alla ripresa di determinati topoi delle produzioni legate al tema della guerra; l’opera non costituisce un esasperato tentativo di ‘variazione sul tema’ delle unioni impossibili, desiderate –forse- anche in virtù di quella clandestinità che le rende vitali e vibranti, imprendibili e dissetanti, sofferte e necessarie: l’autrice preferisce dare spazio ad un’apparente storia di normalità in un contesto, quale la guerra rappresenta, in cui nulla è realmente normale. L’accettabilità dell’inaccettabile insomma, la comprensione dell’insostenibilità, la grandezza del dolore che, tuttavia, non uccide l’amore e non impedisce la morale, perfino al caro prezzo della morte.
«E’ strano come tutto sembri avere un inizio; all’improvviso, si ha la netta sensazione che la vita stia per cambiare,…Uno di fronte all’altra, come in uno specchio. Senza provare vergogna. Non si può fuggire»: al lettore il compito di scoprire quale sia l’inizio e quale la fine, cosa ci sia oltre queste parole; dove inizi e dove si compia l’attesa, dove Gabriel conceda spazio alla propria ribellione e dove Veronica, invece, chiuda la porta al dolore.