Dea della Caccia
Commenti ((Monica Cito - KULT Virtual Press)
L’e-book di Monica Cito appare nettamente diviso in due parti, entrambe con riferimento mitologico.
La prima, “Cacciando Venere” contiene versi più giovanili. Il leit-motiv è quello principale dell’Autrice, l’amore tra donne, qui si tratta di storie perlopiù temporanee o infelici, occasionali, appunto una “caccia” a una Venere (sinonimo di donna direi) ideale non ancora trovata.
L’amore è tinto spesso di nostalgia o solo ricordato. Certe storie causano dolore (“cercherò l’indipendenza/ troverò nuove barriere mentali/ per proteggermi dalla tua indifferenza”)
L’altra divinità presente è Diana, la dea della caccia, la luna, interpretata qui come dea protettrice dello «scandaloso» amore tra donne.
“Diana, combatti al mio fianco,/ combatti alla mia testa/ guidami tra le tribadi/ a scandalizzare questa foresta di donne «vergini»”.
Di vicende di donne sono piene la storia e la mitologia e qui forse si cerca un’origine, una motivazione, che non sia solo quella psicoanalitica, all’amore saffico.
“Dita di donne storiche,/ mitologiche figure/ cedute in prestito alla psicoanalisi,”
Un altro tema, che però emerge meglio nella seconda sezione è la poesia, l’esser poeta e i libri, la letteratura.
Vi è un rapporto anche fisico, carnale con i libri, creati da uomini, passati dal manoscritto alla rotativa, quindi si tratta di idee umane - le possibili risoluzioni ai nodi dell’esistenza – che si concretizzano e diffondono attraverso la tecnologia.
La seconda parte “Fucina d’Efesto” (Vulcano) allude alla fucina-laboratorio letterario da cui vulcanicamente, a volte con rabbia, scaturiscono le liriche. Il titolo, solo quello, può ricordare un testo dannunziano in prosa “Le faville del maglio”, il vate amava definirsi “operaio della parola”, la Cito invece avverte una contraddizione tra il suo sentirsi poetessa, o meglio scrittrice dal momento che può vantare anche una produzione in prosa, e la vita usuale, quella che richiede un contributo alla “normalità” e che spesso non consente affatto di vivere del proprio lavoro artistico.
“Fucina d’Efesto” contiene poesie recenti, nelle quali si attua una riflessione più consapevole sul poetare, l’autrice osserva il proprio sé poetante e ne trae le debite considerazioni: poetare è dare il proprio contributo alla vita, è Speranza.
“Il segno della penna/ e si è dato il contributo/ alla vita, come/ scrittori;/ è tutto qui,”
La poesia al femminile dovrebbe divenire lotta comune.
“e questo è il tempo/ d’una lotta comune:/ lo sperare che/ la letteratura non si stanchi/ le poetesse non si stanchino/ le donne di tracciare/ segni su carta”.
Non manca il senso della polemica verso l’editoria contemporanea e le sue ingiustizie.
“Il dolore del sapere/ quale scrittore può/ restare muto/ perché non stampato,/ mentre qualche prete/ scrive i suoi libretti”.
Nel finale vi è una sorta di addio alla letteratura o meglio la consapevolezza che di letteratura non si vive, che nella società c’è altro, che manca il tempo, la letteratura è un optional, nonostante si possa sentirsi poeti.
“..di te non si vive in/ quest’era/ e chi può dire/ se d’altro si vive.”
“Scrivere non si può/ Più./ Prima c’era il tempo,/ adesso c’é/ il vento/ della società/ costruita dagli altri,/un vento fradicio/ di altri solletichi/ di altri soprusi/ ed io mi sono/ incatenata da sola,/ mi sento/ piccola,/ maledico”.
C’è quindi il contrasto tra essere/ svolgere altro ruolo, aspirazioni dell’io/ scontro con il quotidiano.
MAIL: marina.monego@libero.it