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13 Fiori Fatui

6 min read

‘Sono 13 racconti, riflessioni, scene. Sono 13 momenti nella mia piccola evoluzione di scribacchina. Alcuni sono racconti erotici, altri no, o forse lo sono tutti perché l’amore, il sesso, le emozioni sono inscindibili. Buona passeggiata nel giardino dei fiori fatui.”
Lingua: italiano
Lunghezza: circa 23300 parole (tempo di lettura: 72-106 minuti)
Prezzo: Gratis
Autore: Hannan
Download: non disponibile
Estratto:

1 – Il papavero I

Potrei definire questo racconto un lungo incipit, esso introduce a tutta la mia esperienza di scrittrice per diletto. E’ il mio primogenito: è il primo racconto che abbia mai finito, il primo racconto erotico che abbia scritto ed il primo che ho avuto il coraggio di far leggere.
E’ la mia prima volta.

L’aria calda ed opprimente del primo pomeriggio gli intorpidiva i muscoli ed i pensieri mentre con uno sforzo di volontà si costringeva ad un po’ d’esercizio fisico, per raggiungere un angolino tranquillo sul fienile. Alle due del pomeriggio, con lo stomaco appesantito da un pasto robusto, non c’era niente di meglio per lui che un’insana lettura il più possibile lontana dal salotto buono della madre.
Gli spiaceva abbandonare la sua cameretta, ma da un po’ di tempo, da quando aveva sollevato le sottane di mezzo cascinale, s’era fatta troppo affollata. La guardiana delle oche passava ad offrirgli un paio d’ovette sode, la moglie dell’ortolano mandava a dire che erano giusto maturate le pesche, venisse a sentire che polpa, la merlettaia aveva notato uno strappo nella guarnizione della camicia e la sarta aveva perso di nuovo le misure; per non parlare dei bigliettini sconci di Michelle, l’insegnante di francese. Pareva fosse l’unico maschio della tenuta! Non sapeva giudicare se un simile entusiasmo fosse causato più dalla novità della sua iniziazione al sesso o dal suo ruolo di padrone. Sarebbe volentieri andato a pesca con Tita, ma era introvabile!
Per oggi si sarebbe fatto bastare la compagnia del marchese De Sade, accoccolato fra i covoni di fieno maturo e profumato. Ancora un gradino della scala a pioli e la sua testa ricciuta sbucò fra le assi di legno del fienile. Stava già per issarsi all’interno quando, da dietro una parete di fieno gli giunse un gemito. Un gemito femminile.
La sua esperienza non era poi tanta, ma quel particolare, dolcissimo grugnito lamentoso gli era diventato subito familiare. Stette in ascolto, in attesa d’una risposta maschile. Nulla. Ancora la stessa voce di donna, un gemito ed un sospiro affannoso. Sesso. Non c’erano dubbi. Ma con chi? Da sola? S’accorse d’essere ancora in precario equilibrio sulla scala a pioli e senza pensare troppo a questioni di morale, strisciò all’interno del fienile il più silenziosamente possibile. I sospiri provenivano da una parete sul lato corto dell’edificio, dove le pile di fieno erano più basse per consentire all’aria di circolare attraverso le finestrelle rotonde, poste appena sotto il vertice del tetto di legno. Sfilò gli stivali e, sempre nel massimo silenzio, s’avvicinò ad una fessura fra due pile di fieno. Sembrava fossero state spostate da poco, sul pavimento d’assi c’erano ancora i segni della vecchia posizione. La piccola viziosa si era fatta il nido! Il pensiero lo intenerì ed accrebbe in lui il desiderio di vederla.
I gemiti si facevano più frequenti di là dalla parete, ed egli ne approfittò per scansare leggermente un mucchio di foraggio e nascondervisi dietro a sua volta. Lei era giusto di là da quella parete d’erba secca, vicinissima. Le mani sudavano, il viso scottava quando finalmente appoggiò gli occhi alla fessura. Da principio vide solo una striscia di pelle bianca, poi regolò meglio la distanza ed ecco le cosce pallide e lisce d’una ragazzina. Una ragazzina, perché nessuna delle donne della fattoria era tanto snella. Neppure le più giovani. La luce baciava la pelle chiara, e faceva splendere di riflessi dorati la peluria sottile e bionda delle gambe e quella scura del pube. La giovane era sdraiata nella pozza di sole d’un lucernario, a faccia in giù. Le lunghe sottane arrotolate attorno ad un vitino esile. Teneva le gambe solo leggermente divaricate ed una mano, lunga e sottile affondata fra le cosce. La parte inferiore del corpo era completamente nuda, il resto avvolto dalle lunghe sottane. Il volto era fuori dal suo campo visivo.
Si domandava che cosa lo tenesse incollato lì, accovacciato in mezzo al fieno in una posizione scomoda. Ridicolmente eccitato mentre una ragazzina sfogava da sola le proprie frenesie. D’improvviso si sentì molto stupido e stava già per andarsene quando la ragazza iniziò a ruotare su se stessa per cambiare posizione. Per un istante vide solo le ginocchia magre piegate ad angolo, puntate verso di lui, poi lei appoggiò la schiena sulle assi di legno, raccolse le gambe contro di sé e nuovamente le distese, allargandole più di prima. Il fiore era aperto e completamente illuminato.
Sembrava offrirsi alla luce, all’aria profumata di fieno, ai suoi occhi. Le grandi labbra erano gonfie e rovesciate all’esterno, quelle piccole rosse come ciliegie ed altrettanto lucide. Intorno ad un ricciolo di carne pulsante, modellato come un carnoso pistillo, si agitavano le dita affusolate di lei. Sotto il bacino della ragazza, nello spazio fra le cosce aperte, il succo che colava da lei andava formando una piccola chiazza odorosa. Negli ultimi mesi aveva scopato spesso e come gli era piaciuto. S’era dato da fare ed aveva trovato compagne più disinibite di quanto osasse sperare. Nessuna però gli aveva permesso di guardarla in questo modo, di ammirare il suo fiore di carne pulsare di piacere.
Era tanto vicino da poter aspirare il suo aroma dolce ed acidulo, ne aveva un desiderio folle, ma non poteva avvicinarsi. Si sarebbe prostrato adorante fra le gambe nervose di lei per aspirare profondamente quel profumo di donna acerba e lenire con la morbidezza della propria lingua il dolore di quella contrazione senza sfogo. Avrebbe carezzato con le proprie ognuna di quelle labbra rosse ed assaporato il miele che ne stillava, senza sprecarne una goccia. Ma non poteva. O forse poteva? Doveva assolutamente vederla in viso, sapere chi fosse. Una delle sue amanti sarebbe stata lieta di vederlo. Ma non era una di loro, era troppo magra, forse una ragazzina sui quindici anni, magari la figlia del vecchio stalliere che stava sempre a fissarlo.
A fatica riuscì a staccarsi dal suo osservatorio e cercò a tentoni un’altra fessura per poterne studiare i lineamenti. Nella sua testa si affollavano già le immagini di lui con la bocca su quel fiore, mentre l’erezione contratta nei calzoni attillati iniziava a dolere sul serio. Finalmente trovò una fessura all’altezza giusta, l’allargò con le mani, ogni fruscio della paglia coperto dagli ansimi sempre più forti di lei, che era giunta al culmine del proprio piacere. Il suo viso sarebbe stato lo spettacolo più dolce.
Ancora una volta dovette aspettare e calcolare la distanza per metterla meglio a fuoco. Comparve allora il seno minuto, scosso da mille tremiti, sempre più incalzanti, appena trattenuto dal corsetto slacciato e della camicia bianca tutta gualcita. Un paio di scosse più forti ed un piccolo seno candido e perfettamente sferico sgusciò fuori dal vestito. Un piccolo perfetto budino di crema, con la sua tonda amarena in precario equilibrio in cima, su un letto di petali di rosa, ondeggiante. Ecco poi il collo sottile e liscio, infine il viso. Ed il viso era quello di Tita.
Non c’erano dubbi, solo la nuova cameriera aveva un viso ed un corpo tanto fragili e sottili. Solo lei poteva ancora sembrare una ragazzina a vent’anni. Solo lei in tutta la fattoria aveva i capelli corti, rapata a zero a causa dei pidocchi e retrocessa a sguattera finché non fossero ricresciuti. Povera Tita dal sangue troppo dolce. Quando la vedeva triste per quella bella testa di boccoli neri ridotta ad un cespuglio di sterpi, le dava un buffetto e la portava con sé a pescare. Pescare le piaceva da matti ed anche fare un sacco di cose da maschiaccio. Fra qualche mese sarebbe diventata la cameriera personale di sua madre e lui avrebbe dovuto andare a pesca da solo. A Tita non aveva mai pensato. Così magra non gli faceva sangue, ma oggi. Oggi si toccava ed a lui, con gli occhi chiusi ed un’espressione di completo abbandono, pareva un angelo. Pregò che venendo dicesse il suo nome. Allargò ancora lo spazio fra le quinte di paglia che lo nascondevano fino ad esporre completamente il viso, ora, che lei lo vedesse o meno, non importava più.

…continua…

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